È difficile parlare di Dio. Immaginare Dio. Ricondurre Dio alla nostra dimensione. Tuttavia, la Scrittura per aiutarci a comprenderne la natura ci suggerisce l’idea della luce. Dio è luce per descriverne la purezza e la santità (Giovanni 1).

L’esperienza umana del contrasto tra luce/giorno e buio/tenebre in tutte le culture corrisponde all’alternativa tra positivo e negativo, tra vita e morte.

Specialmente in un’epoca in cui più netto era il passaggio tra la notte, buia e il giorno luminoso, si era soliti attribuire a queste due condizioni valori e simbolismi profondi.

La notte richiama, e soprattutto richiamava al tempo di Gesù, la paura di camminare senza vedere, il pericolo di aggressioni, il rischio di perdere la strada, di cadere in balia di nemici. Ma soprattutto la notte e l’oscurità portano da sempre il pensiero alla morte.

La Luce al contrario corrisponde a sicurezza, velocità nel cammino, autonomia, possibilità di difendersi.

Questo contrasto viene usato anche a livello intellettuale. Nella luce si ha la conoscenza, la comprensione, la capacità di scegliere in modo ragionevole, mentre nel buio e nell’oscurità si ha l’incapacità di vedere chiaramente, l’ignoranza. Il cieco brancola in un mondo oscuro e ostile, deve affidarsi agli altri, ed è consapevole che anche chi è più debole di lui può farlo cadere.  Ed è così che cecità e morte diventano simboli della lontananza dalla vita.

La luce è talmente importante per l’uomo del passato che molti popoli adoravano gli astri come divinità legate alla vita e alla fertilità della terra.

D’inverno le lunghe notti e la poca luce anche di giorno corrispondevano all’interruzione nella produzione agricola mentre col rinascere della luce nasceva il risveglio delle piante e dunque della vita.

DIO E LA LUCE

Nel racconto della creazione è Dio che dà origine alla luce. Nel quarto giorno arreda l’universo e crea gli astri, capaci di regolare il giorno e la notte.

C’è tra Dio e la luce una fortissima corrispondenza tanto che la sua mancanza segna l’assenza di Dio o il suo castigo. Non si può dimenticare l’esperienza dell’esodo dall’Egitto: «Allora il SIGNORE disse a Mosè: «Stendi la tua mano verso il cielo e vi siano tenebre nel paese d’Egitto, così fitte da potersi toccare.  Mosè stese la sua mano verso il cielo e per tre giorni ci fu una fitta oscurità in tutto il paese d’Egitto.  Non ci si vedeva più l’un l’altro e per tre giorni nessuno si mosse da dove stava; ma tutti i figli d’Israele avevano luce nelle loro abitazioni» (Esodo 10:21-23).

Quando Dio è con Israele, questo non può vivere nelle tenebre! Come avviene nella fuga nel deserto: «Il SIGNORE andava davanti a loro: di giorno, in una colonna di nuvola per guidarli lungo il cammino; di notte, in una colonna di fuoco per illuminarli, perché potessero camminare giorno e notte» (Esodo 13:21).

Una bella immagine si ritrova nelle ultime parole di Davide, quando riassume la sua vita: «Il Dio d’Israele ha parlato, la Rocca d’Israele mi ha detto: “Colui che regna sugli uomini con giustizia, colui che regna con timore di Dio, è come la luce mattutina, quando il sole si alza in un mattino senza nuvole e con il suo splendore, dopo la pioggia, fa spuntare l’erbetta dalla terra» (2 Samuele 23:3-4).

Il binomio luce-tenebre serve a Giobbe per distinguere il bene dal male “Costoro pretendono che la notte sia giorno, che la luce sia vicina, quando tutto è buio!”(Giobbe 17:12). Anche Isaia ribadisce più volte questo concetto: “Guai a quelli che chiamano bene il male, e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l’amaro in dolce e il dolce in amaro!”.

Senza Dio non c’è luce, non c’è futuro, non c’è vita.

Ma è Cristo l’artefice della vera luce. Colui che porta in essere il piano salvifico del Padre e fa risplendere la luce della conoscenza e della grazia divina in tutto l’universo.

 Matteo cita il profeta Isaia che in molti brani del suo libro aveva anticipato questa verità: “Il popolo che camminava nelle tenebre, ha visto una gran luce; su quelli che erano nella contrada e nell’ombra della morte una luce si è levata»” (Matteo 4:16; cfr. Isaia 9:1).

Quando Gesù, appena nato, viene portato nel Tempio per adempiere le prescrizioni della Legge, il vecchio Simeone, mosso dalla Spirito, prese il bambino e lo benedisse dicendo: “Ora, o mio Signore, tu lasci andare in pace il tuo servo, secondo la tua parola; perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, che hai preparata dinanzi a tutti i popoli per essere luce da illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele”(Luca 2:29-32).

Paolo parlando a Timoteo di Cristo afferma che è: “…Il solo che possiede l’immortalità e che abita una luce inaccessibile; che nessun uomo ha visto né può vedere; a lui siano onore e potenza eterna. Amen (1Timoteo 6:16), e sempre al giovane predicatore scrive che: Egli ci ha salvati e ci ha rivolto una santa chiamata, non a motivo delle nostre opere, ma secondo il suo proposito e la grazia che ci è stata fatta in Cristo Gesù fin dall’eternità, e che è stata ora manifestata con l’apparizione del Salvatore nostro Cristo Gesù, il quale ha distrutto la morte e ha messo in luce la vita e l’immortalità mediante il vangelo” (2Timoteo 1:10).

Il contrasto tra luce e tenebre, con Gesù a significare la luce, costituisce un aspetto predominante del Vangelo di Giovanni. L’uso di questa metafora che predomina, a iniziare dal prologo del primo capitolo, è ripreso dall’apostolo da tutto l’insegnamento di Cristo stesso.

L’illuminazione di cui parla Giovanni, nella persona e opera di Gesù Cristo, ha infranto le tenebre del peccato e dato nuova speranza all’uomo.

Giovanni si richiama alla Genesi, dove la luce, chiamata in essere dall’Eterno, fu il primo principale atto della creazione: “Sia luce! E luce fu”.

Anche nella sua prima lettera l’apostolo formula concretamente il contenuto dell’evento che era “al principio”: Dio è luce occorre quindi camminare nella luce per essere in comunione con Lui.

La tematica luce/tenebre è ripresa e applicata alla vita di ogni cristiano.

La luce rappresenta, nelle Scritture, in senso intellettuale la verità (cfr. Proverbi 6:23; Salmi 119:105; 2Pietro 1:19; Isaia 42:6; Luca 2:30; Atti 13: 46-47) che si oppone all’ignoranza e all’errore. In senso morale, invece la purezza, la giustizia (Isaia 5:20; Efesini 5:8-14; Romani 13:11-14) che si oppone al peccato, all’immoralità, all’ingiustizia delle tenebre.

 I Cristiani grazie alla luce di Cristo hanno «…lo sguardo intento non alle cose che si vedono, ma a quelle che non si vedono; poiché le cose che si vedono sono per un tempo, ma quelle che non si vedono sono eterne» (2 Corinzi 4:18). Questo è l’atteggiamento proprio di chi considera tutto in relazione al fine ultimo, di chi guarda soprattutto al termine del cammino, alla Gerusalemme celeste, e vede tutto il resto in questa luce. La fede di chi si dichiara cristiano si vede dall’aderenza assoluta all’insegnamento divino e dalla coerenza con cui si vive quello che si professa.

“Ringraziando con gioia il Padre che vi ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce” (Colossesi 1:12).